lunedì, aprile 23, 2007

Il Pandoro di Guido - Capitolo 7

Il Pandoro di Guido
Capitolo 7


Quell’anno era molto nevicato e già i primi di dicembre le strade delle nostre colline erano pressoché impraticabili.
Era per me un momento estremamente importante dal punto di vista professionale, in quanto dopo anni di difficoltà e porte chiuse in faccia ero riuscito a pubblicare i miei lavori, una serie di brevi saggi sugli argomenti più disparati.
Qualcuno potrebbe obiettare che il fatto che mia madre di nome faccia Maria Angela Bignami possa in qualche modo avermi favorito, ma la titolare della più famosa collana di pubblicazioni riassuntive per la scuola e non evidentemente aveva trovato interessante il mio lavoro. Lo dimostra il fatto che da anni le sottoponessi i miei manoscritti, ma sistematicamente li rispediva al mittente con un solo, arido bigliettino:”Puoi fare molto meglio!”.
Questa era la volta buona, ed ero talmente contento che non avevo esitato a spendere i miei unici ventiduemila euro per affittare un casolare ristrutturato nel bergamasco per una presentazione in pompa magna.
L’unico assente, per giunta giustificato, era stato il signor Mondatori, in quanto impegnato negli Stati Uniti con cose ben più importanti: il Superball.
Ovviamente volevo che tutta la famiglia fosse presente ad una serata così speciale, così avevo inviato un invito accompagnato con biglietto aereo a tutti.
Mia mamma, l’unica che continuavo a vedere e sentire regolarmente, era venuta in auto (la solita popolana!).
Mio babbo invece era arrivato dall’Australia, accompagnato da una cangurina di venticinque anni conosciuta durante il lancio della sua ultima linea di abbigliamento per amanti di mentine, Polo, il cui successo era ormai planetario. Sicuramente lei lo amava, ma anche il suo gruzzoletto contribuiva all’attaccamento.
Il Boss, come al solito in ritardo, era arrivato due minuti prima che iniziasse il banchetto.
“Scusa tanto, ma non ho trovato nessuno a sostituirmi”, si era giustificato, sapendo benissimo che nessuno gli avrebbe creduto. Era uno dei pochi ad essere riuscito a coniugare il fancazzismo alla genialità, brevettando un tagliaunghie per piedi a braccio telescopico per evitare dolorosi piegamenti che solo quell’anno gli aveva fruttato otto miliardi, e viveva sotto una palma ai Carabi contando i suoi continui incassi.
“Ok, ci siamo tutti!”.
Ma non era vero. Non avevamo il coraggio di affrontare la realtà, di ricordare il doloroso passato.
Guido, il primogenito, l’orgoglio di mamma e papà, studente modello e convinto paracadutista presso il ventitreesimo battaglione Nembo della Folgore, a venticinque anni aveva avuto la folgorazione ed in piena crisi esistenziale aveva deciso di cambiare sesso.
La reazione della famiglia era stata forte e drammatica, e per non creare ulteriori imbarazzi era scappato dall’Italia e da allora non avevamo saputo più nulla.
Proprio durante la mia conferenza stampa, tra un autografo ed una domanda dei tanti giornalisti intervenuti, arrivava dal fondo della sala una ragazza appariscente, sconosciuta ma familiare, della quale dopo pochi secondi avevo riconosciuto lo sguardo.
Guido.
Mi ero subito girato verso mia mamma, che mi aveva poi spiegato di essere sempre rimasta in contatto con lui, che si era trasferito in Germania ed affrontato da solo il calvario della metamorfosi definitiva.
La fortuna poi gli aveva arriso e con il tempo aveva ritrovato serenità, un buon lavoro impiegatizio ed un fidanzato, con il quale conviveva da diverso tempo senza segreti.
Quando l’ultimo invitato se ne era andato eravamo rimasti lì ad affrontare nuovamente la vecchia situazione, ma forse per il tempo, forse per i tanti rimorsi che ci portavamo dietro, sembrava che avessimo sempre avuto una sorella e che nessun problema avesse mai minato la famiglia.
Guido-Teresa era venuta accompagnata da Gunter, un omone enorme e con un viso simpatico, che si sforzava con accettabili risultati di parlare italiano.
Avevamo deciso di cenare tutti insieme al casolare, dato che era rimasta tanta roba dal rinfresco, ed al momento del brindisi la mamma se ne era uscita con la sorpresa: un pandoro.
“Vi ricordate quanti se ne mangiavano tutti insieme per Natale?!”.
Visibilmente commossi ne avevamo presa una fetta a testa, divorata con voracità e ripensando ai bei tempi andati (forse tornati?), con la mamma che ci tranquillizzava al grido di “Ce n’è quanto ne volete, ho svaligiato la pasticceria!”.
Si sa che le donne sono più golose, ed evidentemente l’operazione di Guido-Teresa era riuscita bene, perché non smetteva più di mangiare.
L’unico che non poteva assaggiare era mio babbo, a causa del diabete, ma aveva di che consolarsi tra le abbondanti poppe della sua prosperosa compagna.
Al mattino seguente avevamo temuto il peggio. Guido-Teresa era entrata nella stanza dei miei genitori gridando a squarciagola “Sono incinta, sono incinta!”, e loro terrorizzati cercavano di capire a quale miracolo si riferisse di preciso.
Aveva allora spiegato loro che dalla notte provava insolite e fortissime nausee, ed era certa di poterle attribuire al bombardamento ormonale subito negli anni.
Mia mamma, pensierosa, dopo cinque minuti di silenzio totale, se ne era uscita con un’illuminata teoria:”Sei sicura? Non sarà un altro problema?”.
“Mah, non vedo cosa ci sia stato di diverso, anche se ieri sera ho mangiato tanto. A meno che non sia stato il pandoro che, per quanto buono, dopo un po’ stomaca!”.
“Va be’, ma ti ho vista io mangiarne non più di due fette. Ad un donnone come te cosa vuoi che facciano?!”.
“Ma sai, questa notte mi è venuta fame, mi sono alzata e non ho trovato altro, allora ho aperto un pandoro ancora confezionato”.
“E quanto ne hai mangiato?”.
“Tutto!”.

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