lunedì, aprile 23, 2007

Il Pandoro di Guido - Capitolo 5

Il Pandoro di Guido
Capitolo 5

In ogni famiglia, anche la più rispettabile, c’è una mela marcia. E la mia non è sfuggita a questa regola.
I miei genitori, persone per bene ed onesti lavoratori, hanno dedicato la vita a noi tre figli, profondendo ogni sforzo economico ed emotivo per trasmetterci i reali valori ed i principi cardine per condurre un’esistenza serena ed armoniosa. Di cultura cattolica la mamma, laico di sinistra il papà, ma accomunati dal rispetto verso le persone e le istituzioni.
Mio fratello Boss, di qualche anno più giovane di me, trascorreva le sue giornate da studente universitario diviso tra la preparazione di un esame e l’insegnamento della chitarra, la sua grande passione, che lo distoglieva da tutto il resto.
Io lavoravo già da anni come rappresentante di una prestigiosa marca di calzature, e nonostante il delicato intervento che avevo subito l’anno precedente (sono stato il primo trapiantato al mondo a ricevere il l’emisfero cerebrale sinistro da un maiale, compatibile al 98% con quello umano, al 100% con il mio) godevo ottima salute. Anche la situazione familiare era positiva e mia moglie poteva beneficiare di un portafoglio sempre gonfio e di un marito sempre arrapato (per colpa del trapianto?).
Il fratello maggiore invece, Guido, aveva purtroppo imboccato la via sbagliata. Coinvolto in un giro poco chiaro era finito in carcere a Rimini gia sette anni or sono, con l’accusa di sfruttamento della prostituzione e riciclaggio di denaro sporco. Sembra infatti che prove schiaccianti lo affiancavano ad una banda di origine albanese che si occupava di fare arrivare ignare ragazze in Italia per poi avviarle al marciapiede. I proventi venivano usati per smerciare cocaina.
I miei genitori non si potevano permettere un principe del foro, ma i giornali parlavano di una situazione talmente nitida che l’esito del processo era comunque scontato.
Da quel giorno non avevamo più voluto vedere nostro fratello, la nostra vergogna, e solo mia madre si recava periodicamente in carcere a fargli visita, portandogli saluti che noi non mandavamo.
Guido era ghiotto di pandoro e la mamma, per farlo almeno volare un po’ con la fantasia e consentirgli un Natale meno amaro, ogni anno gli portava verso il venti dicembre un bel Bauli farcito, con tanto di zucchero a velo, che i secondini lasciavano ormai passare senza nemmeno controllare. “Fattelo durare fino all’Epifania, sai che fino ad allora non potrò tornare. Mangiane una fetta al giorno e mentre lo fai pensa a casa”.
Poi si metteva immancabilmente a piangere e tornava a casa, dove la attendevamo con facce interrogative ma bocche troppo orgogliose per fare domande.
Quell’anno però stava per cambiare le cose. La Corte di Cassazione aveva appena emesso il verdetto definitivo, sancendo di fatto altri quindici anni di carcere per mio fratello senza attenuanti né riduzioni di pena.
Mia mamma, dopo essersi confessata anticipatamente più volte, aveva comprato il solito, gustoso pandoro, farcendolo però con una robusta lima adatta a segare anche le sbarre più testarde.
Solito giorno, solita ora, solito regalo, le guardie non le avevano fatto storie.
Il consueto bigliettino all’esterno, ma dentro una scritta nuova:”Attento a mangiarne una fetta per volta, perché dentro c’è una bella sorpresa! A presto, bimbo mio!”.
Quella sera Guido apriva come al solito la carta nell’indifferenza generale, ma i suoi occhi vispi già sognavano l’evasione notturna, l’aria aperta, la libertà.
“Eh no, cara mamma, questa volta non mi dovrò centellinare le fette. Per il sei gennaio sarò già in Sud America”, e mentre pensava ciò addentava la prima fetta.

Aveva aperto gli occhi il pomeriggio seguente, sdraiato in un letto dell’ospedale interno del carcere, circondato da tutti noi convocati d’urgenza dal direttore per le condizioni di Guido che nella notte si erano fatte improvvisamente critiche.
“Ma cos’è successo? Cosa ti ha impedito di scappare?”, aveva chiesto mia mamma distrutta dall’aver commesso un peccato mortale, per giunta inutile.
“Sai quel pandoro che mi hai portato…”.
“Certo, ma cosa c’entra? A proposito, era buono come al solito?”.
“Si, molto buono, ma devo dirti in verità che dopo un po’ stomaca”.
“E tutto questo cos’ha a che fare con l’ospedale?… Ma scusa, ma quanto te ne sei mangiato?”.

“Tutto!”.

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