lunedì, aprile 23, 2007

Il Pandoro di Guido - Capitolo 4

Il Pandoro di Guido
Capitolo 4


Si avvicinava il periodo natalizio, il più amato da dei ghiottoni come noi, e come ogni anno in questo periodo ci trovavamo di fronte all’arduo dilemma delle scelte strategiche. Conoscete la pasticceria di Matilde Vicenzi, oggi probabilmente il marchio italiano più diffuso al mondo nel capo dei dolciumi? Bene, la signora Vicenzi, classe 1934, era compagna di scuola di mia mamma. Le due erano molto amiche, tra loro c’era una simpatia epidermica, e nulla importava ad entrambe del difetto fisico della piccola Matilde. Era nata con una gamba più corta di diversi centimetri a causa pare di una malformazione congenita, e né lo sviluppo né i numerosi luminari che negli anni l’avevano visitata erano riusciti a fare qualcosa.
Mia mamma però la trovava molto simpatica e trascorreva volentieri con lei il tempo, ed anche se non poteva quindi giocare a palla con le altre amichette era comunque soddisfatta della situazione.
Spesso la andava a trovare anche nel pomeriggio, trascorrendo interminabili ore con i mille giocattoli che la piccola, ricca e sfortunata aveva a disposizione.
I suoi genitori, ricchissimi imprenditori del nord, provavano sincera gratitudine per mia mamma, che ovviamente non si rendeva conto di fare nulla di speciale. Almeno due volte alla settimana pregavano mia nonna di lasciarla a cena da loro, e vi lascio immaginare quale fosse il menù.
Crescendo poi le loro strade si erano separate e mia madre aveva messo su famiglia, sposando un umile ed intelligente ragioniere delle colline romagnole e si era stabilita nel vecchio casolare di famiglia ristrutturato con tre figli da crescere.
Aveva già quarantadue anni quando un notaio del quale ignorava l’esistenza l’aveva convocata urgentemente a Milano per la lettura di un lascito testamentario. Per quanto si sforzasse non le venivano in mente parenti, vicini o lontani, che potessero avere pensato a lei, ma per puro senso del dovere aveva comunque onorato l’impegno.
“Lascio la mia azienda, la Matilde Vicenzi srl, alla signora Maria Angela Mulazzani, l’unica mia vera, grande amica”.
Una volta ripresasi dallo svenimento mia mamma aveva scoperto che l’amichetta di scuola, che non vedeva da più di trent’anni, aveva coltivato la passione per la pasticceria, complice il difetto fisico che le aveva impedito di gironzolare tutto il giorno come gli altri coetanei, e con il robusto aiuto dei ricchi genitori aveva nel tempo costruito un impero di dolcezza.
Ovviamente, mio babbo aveva immediatamente lasciato il posto da ragioniere che da quindici anni occupava e noi figli eravamo stati subito introdotti nell’attività, il maggiore con tanto di master in marketing alla Bocconi e noi a farci le ossa sul campo.
“L’anno scorso non è andata granchè bene…”, esordiva quella sera mia mamma, “…la colomba fuori stagione non è andata secondo le aspettative e ne abbiamo venduti solo otto milioni di esemplari. Se toppiamo anche quest’anno dovremo rivendere la Corsica ai francesi, mannaggia a loro!”.
Serviva un’idea vincente, non necessariamente innovativa, ma comunque accattivante.
“Perché non rivisitiamo un classico; lo fanno tanti cantanti e vedo che vendono dischi a palate!”.
Il piccolo Boss, diciassette anni ma la mente fina, aveva lanciato questo interessante dardo, e spremendoci le meningi eravamo arrivati a focalizzare l’attenzione su un mega-pandoro formato famiglia, un sacchettone da cinque chili di burro e buone intenzioni.
Superato il problema di adattare i macchinari alle nuove esigenze produttive, cosa che si era rivelata semplice in quanto sotto il governo Berlusconi avevamo ottenuto due milioni di euro di finanziamento a fondo perduto come sostegno di aziende in crisi (seicento dipendenti, contabilità creativa e quattro isole di proprietà sparse per il pianeta), serviva un tester, cioè un degustatore dal palato fine che facesse da apri-pista sui gusti degli italiani.
“Ci penso io!”, sbotta il dottor Guido fresco di stage alla Kraft spa.
“Prenditi il tempo che ti serve, non mangiare nulla nell’ora che precede la degustazione e domani mattina ci dici che ne pensi. Il futuro dell’azienda è nelle tue papille gustative”.
Alle prime luci dell’alba mia mamma, già in piedi per l’impazienza del verdetto, cominciava a girare per casa in cerca del figlio maggiore. Più si avvicinava alla cucina, più sentiva forte e terrorizzante un rumore che poco aveva di naturale; era un rantolo, un sofferto respiro, o qualcosa di simile.
Improvvisamente, dietro la tavola appoggiato al frigorifero spuntava la sagoma di Guido, visibilmente provato ed impossibilitato ad alzarsi.
La mamma, preoccupatissima, gli si era avvicinata con aria colpevole. “Cosa ti è successo, stai male?”.
“Non lo so. L’unica cosa di diverso dal solito è che questa notte ho testato il mega-pandoro”.
“Madonna santa! Se ti ha ridotto così devo aver combinato un disastro d’impasto! Scusami tanto, piccolo mio. Adesso vado subito a bloccarne la produzione prima di ammalare l’intera popolazione italiana”.
Con uno sforzo sovrumano il fratellone l’aveva bloccata, dicendo che secondo la sua esperienza (tanta) il pandoro non aveva nulla di sbagliato né di nocivo, a parte il fatto di stomacare un pochino.
“In che senso? Quanto stomaca? Quanto te ne sei mangiato?”.

“Come, l’hai mangiato tutto?!”.