lunedì, aprile 23, 2007

Il Pandoro di Guido - Capitolo 3

Il Pandoro di Guido
Capitolo 3


“Dai, ragazzi, sbrigatevi che sta per arrivare!”.
Mia madre era sempre così agitata quando Guido tornava a trovarci.
La nostra famiglia è sempre stata unita ed i figli sono rimasti a vivere nelle immediate vicinanze dei genitori. D’altra parte i nostri mestieri ce lo consentivano. Io mi occupavo di internet, segnatamente della gestione di un portale per disperati che stanchi dell’Italia e dei suoi ritmi frenetici cercavano il modo di mollare tutto. Era da anni che la storia si espandeva e le continue e pressanti richieste del mercato mi avevano costretto ad allargare gli orizzonti, perdendo la specializzazione esterofila fino a diventare una sorta di “trova-tutto”. I contatti aumentavano ed in breve mi ero trovato a dover mettere a disposizione anche di altri stati il mio portale, con la conseguenza di dover necessariamente cambiare nome. Un nome breve, neutro e ficcante: Google!
Il Boss invece era diventato un pezzo grosso della sua banca, nel senso che era ingrassato talmente tanto che non passava quasi più dalle strette porte del metal detector. Alla Homer Simpson aveva cercato di fregare il sistema, inciccionendosi fino al punto di guadagnare l’opportunità (prevista dal contratto nazionale di categoria) di lavorare da casa, con grande sollievo di mia mamma che così aveva sempre il suo cucciolino a due passi.
I miei genitori erano ormai in pensione e, come tutti, gioivano dei successi dei figli. Le loro esigenze finanziarie non erano spropositate e, oltre ad un discreto gruzzoletto accantonato negli anni di lavoro, percepivano quattro pensioni. A parte le due di vecchiaia che spettano ad ogni cittadino mia madre aveva trovato il modo tramite un cugino alla lontana (nel senso che è napoletano) di risultare vedova di guerra, ricevendo dallo Stato la gratitudine sotto forma di reversibilità pari a 1.500 euro mensili, mentre mio babbo, oltre ai continui scongiuri, incassava regolarmente un assegno mensile come pensione di invalidità per ciechi (curioso, dato che ha sempre fatto il tranviere).
Quella sera eravamo tutti riuniti in attesa del ritorno del figliol prodigo, che una volta ogni tre, quattro mesi trascorreva un week end in famiglia. Erano invece passati quasi otto mesi dal nostro ultimo incontro, a causa dei suoi improvvisi e pressanti impegni professionali.
Guido infatti era il classico cervellone che fin da piccolo aveva mostrato attitudini superiori alla norma: a ventidue anni si era laureato a pieni voti in astrofisica, a ventiquattro in geologia, e solo per un vezzo non aveva conseguito la terza laurea in scienze naturali per la quale gli sarebbe bastato un solo esame aggiunto. Da ormai otto anni era a capo del CNR, il Centro Nazionale di Ricerca, e negli ultimi mesi aveva girato il mondo portando una sua nuova ricerca sulla prevenzione delle eruzioni vulcaniche. Concettualmente il ragionamento era molto difficile, ma lui aveva studiato un espediente che gli consentiva di mostrare in pratica ciò che accade quando un evento naturale così particolare accade, cosa che favoriva notevolmente l’interazione con i suoi ascoltatori. Lo studio, effettuato quasi esclusivamente alle pendici dell’Etna, sembrava poter aprire nuove frontiere fino ad allora inesplorate. L’espediente in questione era un pandoro farcito, simile nella forma e, secondo lui, anche nella reazione alle sollecitazioni. Davanti ad una platea curiosa e stupefatta infatti Guido usava appoggiare sul tavolo il pandoro, sezionarlo con un coltellaccio da cucina e mostrare l’inevitabile fuoriuscita della farcitura lavica, ma non già in maniera esplosiva ed imprevedibile ma seguendo l’apertura creata dal taglio. A ciò aggiungeva che le rocce che costituiscono i vulcani sono solitamente sedimentarie e molto porose, cosa che consentirebbe di siringare il cono ed iniettare sostanze ad elevato potere stabilizzante per evitare l’eruzione potenziale.
Per confermare l’atossicità delle sostanze usate era solito fare farcire da un amico pasticcere il pandoro con abbondante salsa di RT-2, color nocciola, e mangiarsi davanti alla platea la prima fetta con inevitabili “oh!” dei presenti. Invitava poi chiunque lo desiderasse a servirsi liberamente, e spesso il naturale imbarazzo ed una certa diffidenza venivano superati dalla golosità e dalla curiosità.
Tra le tante domande che quella sera a cena gli ponevamo molte erano inevitabilmente legate a queste originali conventions, e Guido con grande generosità di particolari ci descriveva quella di Stoccolma, quella di Tokyo, quella di Denver,…
Particolare risalto aveva dato però alla memorabile giornata di Bruxelles, quando alla sua solita prima degustazione il pubblico aveva reagito con imprevista freddezza, cosa che lo aveva costretto ad un secondo assaggio.
La mamma allora l’aveva interrotto, e con la consueta curiosità femminile gli aveva chiesto:”Ma che sapore ha quel pandoro farcito con quella robaccia?”.
“Sembra un pandoro alla crema di nocciola, né più né meno. Se non sapessi come è stato preparato non lo distingueresti da uno tradizionale”.
“Quindi è buono. E non hai notato altro, magari delle conseguenze a lungo andare?”.
“Tornando a quella giornata, l’unico problema è che, benché assolutamente gustoso, ho notato che dopo un po’ quel pandoro stomaca. Sai, la gente continuava a non assaggiarne, ed io dovevo a tutti i costi dimostrare loro che non c’era nulla da temere…”.
Se lo era mangiato tutto!