lunedì, aprile 23, 2007

Il Pandoro di Guido - Capitolo 2

Il Pandoro di Guido
Capitolo 2


In famiglia ognuno aveva sempre fatto la propria parte per garantire armonia e spirito collaborativi.
Eravamo in cinque, senza contare gli acquisiti (mogli, cugini,…) compatibilmente con le esigenze e gli obiettivi di tutti cercavamo di mantenere la stessa mentalità, che trovava anche riscontro negli aspetti più pratici: una serie di villette a schiera per il dopo-lavoro ferroviario e l’aziendina di famiglia gestita da noi.
Mia madre era la titolare ed unica intestataria di muri e licenza d’esercizio (e poi dicono che l’Italia è un paese maschilista!), mentre a noi spettavano solamente ruoli operativi con inquadramento da dipendenti. Lo stipendio però era più che dignitoso e l’impegno profuso davvero ragionevole, ribadendo poi la felicità di poter lavorare tutti insieme appassionatamente.
D’altra parte fino a pochi anni fa la gestione di una sala cinematografica era molto lucrativa, gli adempimenti burocratici e fiscali estremamente ridotti e le ore di servizio a livello di dipendenti comunali.
Ci avvicinavamo al Natale, periodo storicamente molto favorevole per l’attività che, complici il brutto tempo, le temperature rigide e l’arrivo della produzione tipica di questo periodo lasciavano presagire i consueti buoni profitti. Ai soliti titoli dei restanti undici mesi dell’anno si sostituivano pellicole quasi monotematiche:”Babbo Natale si tromba la Befana”, “A mia zia per Natale facciamo del male!”, “Aprimi ‘sto pacco!” sono solo alcuni dei campioni d’incasso del mese di dicembre, cui si vanno ad aggiungere i sempreverdi che non stancano mai.
Già, perché se non si era capito la mia famiglia gestiva un cinema porno.
La mamma stava alla cassa e distribuiva bibite e pop corn agli impazienti clienti che, avvolti nei loro bravi spolverini e coperti dall’immancabile cappello a tesa larga a garanzia dell’anonimato fremevano rumoreggiando.
Il papà, finito di strappare i biglietti all’ingresso in sala, sganciava le tende scure ed isolanti e si trasformava in un nano-secondo nella preziosa maschera, mai utile come in un cinema porno nel quale, si sa, le luci sono soffusissime anche a film ancora non iniziato.
Noi fratelli ci alternavamo tra la cabina di riproduzione del nastro e la necessaria attività di volantinaggio ed affissione di locandine in giro per il paese.
Quella settimana però ero rimasto solo, in quanto il Boss, il fratello minore, era negli Stati Uniti a nome della Villa’s, nota casa di produzione di pellicole a luci rosse di nostra proprietà, per promuovere la nostra ultima fatica- letteralmente- in occasione dell’annuale festival del cinema hard. Seguendo la filosofia del chi fa da sé fa per tre le nostre signore, giovani e portate, recitavano da protagoniste ormai da anni, andando molto orgogliose del successo di pubblico e critica ormai consolidato. “Fammela come un secchio!”, il film in questione, sembrava promettere bene e le prospettive anche nel mercato nord americano ancor meglio.
Guido invece era trattenuto a letto dal solito attacco di dissenteria, ormai abbondantemente diagnosticato dai maggiori luminari in materia come un chiaro caso di malattia psico-somatica. Ogni volta che uscivamo con un nuovo film si rosicava il fegato, non accettando il fatto che migliaia di persone avrebbero visto sua moglie esibirsi in contorsionismi sessuali degni di una circense.
Mia mamma (si sa, la mamma è sempre la mamma) non poteva fare a meno di preoccuparsi, e come la saggezza popolare insegna quando ci si sente un po’ giù non c’è nulla di meglio che coccolarsi un po’ ingozzandosi di dolci; la serotonina farà poi il suo dovere.
Alle due del pomeriggio, prima di recarsi al lavoro, passava quindi dalla stanza da letto di Guido per sincerarsi delle sue condizioni e di eventuali necessità urgenti. “Allora, ti ho portato una camomilla calda che è un ottimo antispastico, la febbre ho visto che non l’hai, il cellulare è sul tuo comodino così in caso di bisogno mi chiami. Cos’altro?… Già, è arrivato il solito pacco natalizio della signora Aurora, quella gentile vecchietta che abbiamo conosciuto tanti anni fa al mare. E’ in cucina e se ti viene fame aprilo pure. Vedrai che non si sarà dimenticata di regalarci il solito super-pandoro mega-farcito, la vostra passione!”. Detto ciò se ne andava più rassicurata e pronta per il duro lavoro.
Verso le undici tutti di ritorno (era un mercoledì ed era in programma solo una visione), in tempo per una buona tisana prima di andare a nanna.
In cucina la scena era desolante: il pacco spalancato e cartine di cioccolatini e torroncini sparse per il pavimento, montagne di stelle filanti srotolate ed una confezione di datteri mangiata per metà.
“Vai su a vedere come sta”, diceva il babbo alla mamma.

“Ehi, Ghigni, come ti senti?”. Sviluppandosi dalle coperte la creatura emergeva, accompagnata da un sonoro rutto digestivo, e la tranquillizzava confermandole di essere andato in bagno solo tre volte e di avere anche avuto appetito.
“Bene. Per caso hai aperto tu la confezione della signora Aurora?”.
“Si, in frigo non ho trovato niente e mi sono arrangiato così”.
“Hai fatto bene, anche se le cose dolci con la tua diarrea mal si conciliano. Comunque, hai tirato fuori il pandoro dal pacco che non l’ho trovato?”.
“Scusa mamma, ma avevo un buco nello stomaco e l’ho mangiato”.
Con una carezza gli faceva capire di essere vicino al suo dolore interiore. “Che ne pensi?”.
“Devo dire che, rispetto al passato, mi ha un po’ deluso. Buono è sempre buono, e si sente che non è solito pandoro comprato al supermercato, ma dopo un po’ stomaca”.

Se lo era mangiato tutto!